Sfide. Coabitazione e “convivenze” familiari: la solitudine degli anziani si può curare
Mentre ci avviamo all’implementazione delle prime “sperimentazioni” della Legge 33/2023 sulla riorganizzazione dell’assistenza agli anziani, la prima sarà a Tor Bella Monaca a Roma, è bene che le riflessioni si amplino per comprendere l’urgenza anche di una nuova cultura sul tema. Mi pare importante riflettere sul tema drammatico della solitudine, una vera e propria emergenza. I numeri sono impressionanti: in Italia ci sono quasi 10 milioni di persone (9.858.000 per la precisione) di nuclei unipersonali. E, sebbene gli anziani (over 65) rappresentino il 31% del totale di questi per oltre 3 milioni di persone, cresce in modo importante anche la rappresentanza delle persone tra i 55 e 64 anni (oltre 2 milioni) e tra i 45 e 54 anni (poco meno di 2 milioni). Insomma, dieci milioni di persone in Italia vivono sole, e la tendenza è destinata a crescere. C’è da considerare anche la continua erosione degli indici di fertilità e la riduzione assoluta e relativa delle coorti giovani. Insomma, sta emergendo un popolo di persone fisicamente e strutturalmente sole.
Per quel che significa, poi, la percezione che si ha della solitudine, i dati ISTAT del 2023 ci dicono che quasi 2 milioni degli anziani over 75 in Italia dichiarano di sentirsi soli “spesso” o “sempre”. E circa un anziano su cinque (2,8 milioni, dunque) dice di non avere nessuno con cui confidarsi o su cui contare in caso di bisogno (i dati sono di PASSI d’Argento). Fa pensare che quasi 3 milioni di anziani non abbiano un aiuto o un riferimento. È indubbio il bisogno di promuovere convivenze tra persone sole. Un nuovo modo di convivere in maniera direi “familiare”. La Legge 33 non solo lo suggerisce, lo promuove. Infatti, non si tratta solamente di promuovere solo gli indispensabili aspetti strutturali del cohousing che sono in capo al Ministero delle Infrastrutture e Trasporti che spero stia muovendosi. Ma una nuova modalità di convivenza. Nell’articolo 15 della Legge intitolato Linee guida in materia di senior cohousing e di cohousing intergenerazionale, si prevedono i seguenti: favorire modelli di “coabitazione tra persone anziane (senior cohousing), di coabitazione intergenerazionale, in particolare con i giovani in condizioni svantaggiate, avvalendosi anche dei rappresentanti di istituzioni pubbliche, di enti, di organismi o associazioni portatori di specifici interessi ed esperti in possesso di comprovate esperienza e competenza nell’ambito dei temi trattati… Le predette forme di coabitazione sono realizzate nell’ambito di case, case-famiglia, gruppi famiglia, gruppi appartamento e condomini solidali, aperti ai familiari, ai volontari, ai prestatori esterni di servizi sanitari, sociali e sociosanitari integrativi, nonché ad iniziative e attività degli enti del terzo settore.”
Si tratta di rovesciare il paradigma “anziano = solo”. Si tratta di concepire la vecchiaia come un nuovo inizio, come una nuova opportunità di vita in un ambiente “familiare”: è la scelta di volersi bene e unirsi in piccoli gruppi per vivere assieme l’ultima stagione della vita. Restituire comunità a chi è anziano – e perché no anche a chi è adulto, se lo desidera – rappresenta una nuova formidabile chiave di positiva trasformazione della nostra società. Con sapienza, vorrei dire, la legge ha legato al cohousing anche un movimento di rigenerazione urbana (articolo 16 – Criteri e standard di realizzazione di progetti di coabitazione mediante rigenerazione urbana e riuso del patrimonio costruito), come a dire che è creando convivenze e un ambiente comunitario che è possibile rigenerare abitazioni, contesti, quartieri, periferie e aree interne. Questa nuova visione è una speranza bella per chi è anziano e magari vive in paesini spesso spopolati, carenti di servizi, con la famiglia lontana in città e con tanti problemi dentro casa.
I benefici delle piccole convivenze sono molteplici. Accenno solo a quelli che aiutano a bilanciare terapia e prevenzione e quindi a vivere in buone condizioni di salute. Non basta invecchiare. Dobbiamo invecchiare bene! È noto quanto la solitudine dei milioni di anziani in casa è un importantissimo fattore di rischio per emergenze sanitarie o per la gestione di patologie croniche (si pensi solo a tutti gli anziani con comorbidità e politerapie non in grado di ricordare la schedula di somministrazione quotidiana), per la cattiva gestione della propria alimentazione o igiene e cura personale, per la impossibilità di maneggiare denaro, uscire, sbrigare pratiche. Stando assieme si ha una maggiore qualità nei servizi. La stessa telemedicina, in presenza di familiari o conviventi diviene un investimento più utile e fattibile. Si possono avviare, con la coabitazione, sinergie importantissime con il mondo del volontariato, che già oggi vive e tutela numerosissime convivenze, favorendo intergenerazionalità e presenza di assistenti familiari, che potendo occuparsi di una abitazione e non di un singolo anziano, risultano più sostenibili. E si rendono possibili sinergie con ospedali, pubblici o privati convenzionati, che si sono dotati di connettività e possono seguire a distanza pazienti, e/o sono forniti di servizi di mobilità per analisi, forniture di prestazioni infermieristiche, fisioterapiche, psichiatriche, ecc. Sono importanti gli articoli 17 e 18 della Legge che prevedono la possibilità per le regioni e i comuni, di avviare azioni volte alla selezione di iniziative progettuali di coabitazione, anche sperimentali, nonché delle iniziative di coabitazione sviluppate nell’ambito dei progetti degli Ambiti territoriali sociali (ATS) ammessi al finanziamento statale, con priorità per gli interventi di rigenerazione urbana e di riuso del patrimonio costruito.
Insomma, la Legge rappresenta una grande opportunità. Ovviamente la legge da sola non basta. C’è un diritto dovere dell’intera società di proteggere la vita di relazione degli anziani. Occorre dare avvio alle sperimentazioni, alla definizione delle linee guida con il CIPA ma soprattutto a comunicare agli anziani – io sono tra questi – che non siamo condannati a finire i nostri giorni in una amara solitudine: se noi anziani iniziano a vivere assieme, come piccoli nuclei familiari, faremo rifiorire i nostri paesi e le nostre città. È un appello che rivolgo anche al Terzo settore ed al volontariato, che già svolge un ruolo pionieristico di importanza vitale. Le istituzioni stiano al passo e accompagnino anche economicamente questa importante riforma. Una vecchiaia felice rende lieta l’intera società.
Avvenire, 16 gennaio 2025